Don Alessandro Lucini – Dott.ssa Barbara Bosetti

AVVENTO 2024
ARTE E FEDE
4 personaggi per 4 opere d’arte.

19 novembre 2024

PREMESSA

Questi incontri hanno lo scopo di aiutare le persone sulla catechesi, sull’approfondire alcuni misteri della vita, alcuni con dei falsi storici che dicono cose che magari non sono mai successe, come ad esempio il “dito” di Caravaggio, di Tommaso in cui si vede appunto Tommaso che mette il dito nel costato di Gesù, anche se Tommaso il dito non lo ha mai messo nel costato di Gesù. Però sono immagini che ci aiutano ad entrare nel mistero, cioè danno visibilità a dei concetti a delle parole che non hanno visibilità. L’immagine sicuramente rimane di più del ricordo della parola, soprattutto le immagini sono state fatte in tempi in cui la gente non sapeva leggere. Quindi se voi pensate ad esempio alle vetrate del Duomo, esse sono una Bibbia aperta, rappresentano tutte scene della vita di Gesù, della vita della Chiesa e la gente, guardandole, si ricordava il sermone che aveva ascoltato, la Parola di Dio che aveva ricevuto e questo li aiutava a pregare, a ricordare e a comprendere.

Quello che vogliamo fare questa sera è un cammino che ci porti al Natale e a contemplare il mistero dell’incarnazione di Gesù attraverso alcune opere, come quella di questa sera che è quella un po’ più particolare se legata all’Avvento; quella del figliol prodigo non è una tipica parabola di Avvento, ma ci serve per introdurre un tema che è un tema dell’Avvento.

IL RINNOVAMENTO NELLA VENUTA DI CRISTO

Rembrandt Harmenszoon Van Rijn,
(15 luglio 1606, Leida – 4 ottobre 1669, Amsterdam)
Il ritorno del figliol prodigo,
1668, olio su tela, 262×206 cm,
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Vangelo secondo Luca 15, 11-32

11 Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23Portate il vitello grasso, ammazzatelo,mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

LECTIO

Di questa parabola non ci si può fermare su tutto, perché i temi sono tanti, ci si può fare addirittura un corso di esercizi per una settimana riguardo a questa parabola, che parla appunto di questi tre personaggi, che poi vediamo nel quadro di Rembrandt. Innanzitutto vi do un orizzonte, la prima cosa è l’orizzonte delle parabole. Le Parabole sono un racconto che Gesù inventa, verosimile, quindi vuol dire che corrisponde al contesto del suo tempo, ecco in questo contesto Gesù inventa delle parabole, cioè dei racconti che hanno un messaggio specifico. Il primo messaggio specifico è quello di far sbilanciare le persone. La parabola ha questa grande funzione di farti esprimere un giudizio, un giudizio riguardo ad una situazione, un giudizio che riguarda un personaggio, un giudizio riguardo a quello che succede, quello che è giusto e quello che non lo è, perché questo giudizio ti porti poi a convertirti, cioè a cambiare. Quindi ad esprimere un giudizio sulla tua vita che normalmente non faresti perché sei chiamato a tutelarti nella vita, invece il Signore Gesù ci chiama ad uscire dalla nostra zona di confort, a prendere delle decisioni su altri, scoprendo poi che queste decisioni riguardano anche la nostra vita il nostro scegliere. Queste parabole hanno sempre un orizzonte alto, un orizzonte che riguarda Dio: com’è Dio, come giudica Dio, come ragiona Dio, quali sono le caratteristiche di Dio. Nelle parabole, molte volte, l’orizzonte è quello di Dio. Questo dobbiamo tenerlo sullo sfondo perché altrimenti rischiamo di non capire fondamentalmente questa parabola.

Quando ci troviamo di fronte a questo racconto facilmente prendiamo le parti o di un fratello o dell’altro. Se poi avete voglia di approfondire potete andare a leggere “L’abbraccio benedicente”, è un libro che, partendo da questo meraviglioso quadro, racconta la conversione di questo uomo, Henri Nouwen, che si è messo di fronte a questo quadro e vi ha trovato molte sfumature e molte letture. Lui, prima parla del figlio minore e poi del figlio maggiore, poi ad un certo punto arriva a parlare del padre e in questo libro dice che questo padre è il grande dimenticato, perché il padre è un po’ messo da parte, la nostra attenzione si focalizza su questi fuochi di due ellissi che sono le figure dei due fratelli. L’atteggiamento del padre è un po’ lasciato sullo sfondo, ma in realtà è il centro della parabola, perché ci esprime, ci testimonia come ragiona Dio, perché il padre è Dio, Dio Padre, che si pone di fronte alle persone, di fronte alla gente, di fronte a ciascuno di noi. E Gesù ci sta mettendo in evidenza come Dio ragiona nei confronti dell’uomo. Ecco Dio nei confronti dell’uomo ragiona come questo papà, un papà potremmo dire buono, un papà che ama i suoi figli in maniera totale, diversa, ma in maniera totalizzante. Non li ama in maniera indifferente, li ama in maniera diversa, però li ama dello stesso amore, un amore totalizzante. Anche il figlio maggiore viene amato dal padre in maniera spropositata.

Partendo dal figlio minore, che potremmo dire che è uno scanzonato, che ha preso e se ne è andato, ha sperperato tutto, addirittura chiede l’eredità al padre, quindi un gesto molto forte come dire : “tu per me sei morto”. Questo ragazzo decide a un certo punto di intraprendere la propria vita e sperpera tutto quello che il padre gli ha dato.

Dall’altra parte invece abbiamo un fratello che è sempre rimasto lì col padre, non ha mai disobbedito ad ogni suo comando, è sempre stato lì sereno e tranquillo, è andato a messa tutti i giorni, ha fatto tutto quello che gli diceva la Chiesa, non ha mai trasgredito in niente; sembra che siano proprio agli antipodi questi due fratelli, sembra che non abbiano nulla in comune, eppure una cosa in comune ce l’hanno questi due fratelli. Questi due fratelli, entrambi, non amano il padre; non lo amano, né l’uno né l’altro.

Quando il fratello minore se va, non è che gli interessi molto del Padre, né di quello che gli succederà, non chiama a casa, non torna, se ne frega un po’ di quello che succede al padre, non gli vuole bene, torna indietro perché ha fame, mica torna indietro perché è preso da una crisi di coscienza, perché dove è sta peggio di dove potrebbe essere col padre.

Anche l’altro non lo ama il padre, perché, sì, è sempre lì; sì, non se ne va, però è uno che bofonchia di sotto, è una pentola di fagioli, è quello che si lamenta di tutto e di tutti, è quello che si lamenta della bontà del padre, è quello che basta un servetto piccolino (perché c’è sempre qualcuno che ci inziga nella vita), c’è questo servetto che arriva lo inziga e questo è sufficiente per non entrare più in casa; come i bambini batte i piedi. Batte i piedi, fa i capricci e non vuole rientrare.

Guardate questo uomo, che praticamente è un uomo solo, pur avendo dei figli di fianco: uno se ne è andato, l’altro è lì, ma non entra in relazione con lui, se non per quello che deve fare, però questo uomo non smette di amare, pur essendo nella solitudine, pur essendo da solo, questo padre non smette di amare i propri figli. Tant’è che quando questo torna non fa neanche in tempo ad arrivare a casa; questo ci dice che questo padre probabilmente è stato sulla soglia di casa sua a guardare l’orizzonte della collina per vedere quando sarebbe spuntato questo suo figlio. Così lo ha atteso, con bramosità, con desiderio profondo: “chissà quando tornerà questo mio figlio”.

Ma ha amato anche l’altro, che fa i capricci, che non capisce perché bisogna far festa per questo che è tornato, e allora esce fuori e lo prega di entrare. Il padrone, colui che sceglie, prega questo figlio di entrare, di non scandalizzarsi perché il fratello è tornato. Ma il maggiore è invidioso, profondamente, di questo figlio che appare sporco, lurido, stanco. Eppure questo uomo è invidioso.

E sapete perché è invidioso, questo fratello nei confronti dell’altro? Perché il fratello minore ha fatto una conversione, cioè ha cambiato nella vita, e questa conversione lo ha aiutato ad amare il padre ad essere amato dal padre, a sentirsi amato dal padre, mentre quest’uomo non si converte. Rimane rigido nelle sue posizioni, rigido nel suo perbenismo, rigido in tante cose e non riesce a capire; capisce che c’è qualcosa, capisce che questo amore lo desidera, ma non riesce a viverlo, non riesce a viverlo perché è chiuso in se stesso, perché non è disposto a convertirsi.

Noi pensiamo che nella vita chi ha tante sostanze, chi non ha problemi, chi non ha dubbi di fede, chi non mette mai in discussione la propria vita, le proprie cose, le proprie certezze sia l’uomo più felice della terra e sia l’uomo più vicino a Dio. La parabola di questa sera invece ci dice un po’ il contrario. Questo figlio minore, probabilmente, interpreto io, la parabola non ce lo dice, questo figlio minore nella sua vita ha sperperato, è andato con le prostitute, è stato con i porci, che per un ebreo è peggio che andare con le prostitute, perché stare coi porci vuol dire che sei proprio caduto in basso, e ci vivi insieme. Ecco ha superato tante difficoltà, però queste difficoltà gli hanno dato la grazia di poter sperimentare l’amore di Dio. Se non avesse avuto queste ferite non avrebbe avuto l’occasione di poter sperimentare l’amore di Dio. Questa è la conversione di questo uomo, che è tornato dal padre attraverso la sua fatica, attraverso le sue ferite, però è riuscito a convertire la propria vita grazie all’amore di un Dio differente. Logicamente sarebbe da dire: “il tuo lo hai avuto, se vuoi vieni a fare il garzone, perché mi sento buono, se no, lo hai voluto, arrangiati!”, invece questo padre con la sua bontà e ridandogli tutti i simboli della regalità della famiglia, rimettendogli l’anello al dito, che vuol dire ritornare in pieno possesso di tutte le sostanze.

Di fronte all’amore smisurato del padre questo uomo si converte, l’altro per ora rimane lì, fuori dalla porta. Poi non si sa come andrà a finire, però entrambi i fratelli sono chiamati alla conversione. La conversione è quello che ti permette di essere amato dal Padre e di sperimentare l’amore di Dio che è una delle poche attenzioni che ti possono cambiare la vita, le altre ti lasciano sulle tue posizioni.

Sperimentare l’amore di un’altra persona, pensate a quando qualcuno aiuta una persona che non ha nessuna sostanza, un senzatetto, pensate a Madre Teresa di Calcutta, questi atteggiamenti sono quelli che convertono il cuore, quelli che ci fanno sperimentare l’amore di Dio.

Siamo all’inizio dell’Avvento e abbiamo scelto questo quadro, perché ci sembrava bello iniziare questo percorso con una parabola che ci aiutasse a metterci in conversione. Il Vangelo di domenica parlerà di Giovanni: convertitevi e chiedete il battesimo e chiedete la conversione e la remissione dei peccati.

Vivere bene l’Avvento vuol dire vivere bene questo tempo come tempo di conversione. Conversione vuol dire riorientare la propria vita verso Dio. L’immagine di Dio ce l’abbiamo lì, nell’immagine del padre, un padre che ci aspetta che ci attende e chiede il nostro inizio di conversione e vi invito a rileggere la frase che dice questo uomo, questo uomo dice una frase lunghissima, chilometrica e non riesce neanche a dirla tutta, ne dice solamente una parte, perché poi viene interrotto dall’abbraccio del padre.

PRESENTAZIONE QUADRO

La scelta di questo dipinto, rispetto a tanti altri, all’inizio di questo percorso è proprio partita dall’idea della conversione, che è il punto di partenza dell’Avvento, un’attesa che ci riguarda tutti e che è stata, in primo luogo, l’attesa di questo padre. L’intervento è quindi stato costruito pensando al tempo dell’attesa. Abbiamo letto che questo padre ha atteso a lungo il figlio che finalmente torna.

Qui Rembrandt sceglie di rappresentare questo momento, quello proprio del ritorno del figlio presso la casa del padre. Quindi un ritorno in una casa che mette un po’ in evidenza, come si vede sullo sfondo del quadro, che è una casa sontuosa, di una persona benestante: si intravede tra gli archi la servitù, una serva sullo sfondo altri due davanti ed è sontuoso anche il padre con questo mantello rosso, con un abito, come anche quello del figlio maggiore, senz’altro sontuoso; quindi c’è un contrasto innanzitutto tra il figlio che torna, e torna con i suoi abiti logori, in un contesto che invece riguarda la sua origine benestante, quasi regale, perché il mantello rosso nell’iconografia indica spesso la regalità.

C’è quindi questo primo contrasto, un ritorno che implica il notare la differenza tra la condizione del figlio e quella del padre. Rembrandt sceglie di rappresentare il momento dell’abbraccio tra lui e il padre.

È significativo sottolineare questo aspetto. Rembrandt dipinge quest’opera un anno prima di morire. È ormai vecchio ed è arrivato alla vecchiaia in una situazione di grossa fatica: ha perso i figli, tre figli li aveva persi da neonati e prima di lui era morto l’unico figlio che era arrivato all’età adulta, e versa in una situazione economica di forte disagio: aveva avuto diversi debiti, era stato costretto a vendere la casa, si era ridotto in povertà. Quindi molti hanno voluto un po’ vedere nella rappresentazione di questa richiesta di perdono forse anche una richiesta un po’ sua, quasi fosse una sorta di testamento.

Torniamo a vedere questo padre che abbraccia appunto il figlio. Innanzitutto dobbiamo notare che il fulcro della rappresentazione, anche se è spostata sulla destra è questo gruppo, queste due persone [padre e figlio] e Rembrandt sottolinea questa centralità, se vedete, mettendoli su una predella, ci sono questi due gradini, come se volesse dire agli spettatori: “Guardate che quello che sta avvenendo lo metto su un palco, dovete mettere la vostra attenzione su questi due personaggi”. E l’attenzione noi la mettiamo subito patendo dal primo personaggio, che è il padre.

Il padre che abbraccia questo figlio, nelle sue vesti, si vede che è un uomo curato, si vede nel dettaglio di questa barba bipartita, nel copricapo, nel mantello rosso; un uomo che sicuramente mette in evidenza, anche attraverso il modo in cui è vestito, la sua regalità. E’ una regalità che è apparente, dettata appunto dalla sua ricchezza, ma è soprattutto una regalità morale che si vede in particolare da due elementi: uno è questa forma in cui Rembrandt delinea questa figura, che diventa quasi una figura monumentale, quasi michelangiolesca nel diventare così imponente, e poi soprattutto da questo volto, meraviglioso, in cui si vede questo sguardo.

I critici di solito collegano questo sguardo a quello del cieco, a cui don Alessandro ha fatto un accenno prima; come vedete gli occhi sono un po’ a mezz’asta, addirittura uno è semichiuso, come se questo padre, noi ce lo immaginiamo, avesse ogni giorno scrutato l’orizzonte sperando di veder tornare questo figlio che tanto desiderava vedere e, senz’altro, questo potrebbe essere plausibile. Però mi è sempre venuto in mente, osservando questo sguardo, lo sguardo di chi finalmente può cedere, dopo tanta attesa che lo ha quasi consumato, finalmente questo figlio ce l’ha tra le braccia. È come se anche i tratti fisiognomici di questo viso cedessero, finalmente trovassero quasi un po’ una pace. Quindi vediamo senz’altro questa attesa che finalmente trova un momento di riunione ed è un’attesa che è stata tanto desiderata.

A livello cromatico, Rembrandt unisce queste due figure e, se immaginassimo di non avere questo rosso del mantello, vedremmo gli stessi toni, quelli della veste del figlio, quello dei capelli e della veste del padre, quindi diventa un tutt’uno che diventa ancora più unito fino a creare una specie di contorno, un semicerchio, se poi invece osserviamo la veste rossa, ci accorgiamo che essa crea uno spacco cromatico, che però abbraccia e avvolge tutti e due le figure.

E qui arriviamo poi alla figura del figlio, questo figlio che arriva alla casa del padre e, lo abbiamo detto prima, è fortemente in contrasto rispetto all’ambiente in cui entra. Arriva logoro e le sue vesti sono sgualcite, qui addirittura, si vede, c’è uno strappo, un altro sull’altra spalla, anche i suoi piedi sono sporchi, un sandalo è rotto.

Arriva addirittura senza nemmeno più la cintura, la sua cintura, come si vede, è una corda, probabilmente di fortuna che ha trovato, e la cintura è un altro simbolo di ricchezza negli abiti dell’epoca. Lui invece cosa fa, lega le vesti con una corda, particolare anche questo significativo, perché è la corda del penitente, Dante quando inizia il suo percorso in Purgatorio viene costretto da Virgilio a cingersi con un giunco perché, per poter intraprendere un percorso di redenzione, deve pentirsi e il giunco per cingersi la vita rappresenta un po’ questa scelta, questa necessità. Quindi arriva con anche la testa rasata, e questa testa rasata può avere un doppio valore simbolico.

Da un lato è sempre simbolo iconografico del penitente, dall’altro lato però la testa rasata noi la vediamo nei neonati. Quindi qui c’è anche un po’ l’idea di nascere di nuovo. Il neonato inizia la vita, viene al mondo con la testa senza capelli. Qui è forse la rappresentazione di questo giovane di voler iniziare questa nuova vita consapevole che nell’abbraccio del padre inizierà un nuovo momento della sua vita. Questo volto noi lo vediamo tratteggiato, a differenza di tanti particolari di questo dipinto, in una maniera poco definita, il profilo, l’occhio soprattutto sono abbozzati, le pennellate sono proprio pennellate diverse rispetto a quelle del resto del dipinto, perché Rembrandt vuole lasciare volutamente questo contorno un po’ indefinito, un volto un po’ anche in ombra, Rembrandt appartiene alla tradizione pittorica fiamminga se osservate altre sue opere come “la ronda di notte” è maniacale il modo in cui rappresenta i particolari, fotografico quasi iperrealista, quindi certamente escludiamo l’idea che questa scelta fosse una scelta di necessità, ma è stata una scelta voluta, perché così come la posizione di questo figlio ci deve aiutare ad immedesimarci, se io non riconosco nel dettaglio quel volto, posso pensare che potrebbe essere chiunque, potrei essere io, e questo è anche sottolineato dal fatto che se noi osserviamo il punto di vista in cui il dipinto è costruito esso è lo stesso del figlio. Noi ci dobbiamo mettere dallo stesso punto di vista e questo personaggio è rappresentato di spalle, proprio perché noi potremmo assumere la stessa posizione che ha il figlio.

Arriva così logoro in questa casa, ma con un dettaglio, ha ancora legato lo spadino, e anche qui potremmo pensare: “ma di tutte le cose che poteva tenersi, lo spadino era forse quello meno necessario, avrebbe potuto venderlo, vista la condizione di indigenza in cui si trovava”, e invece Rembrandt qui lo rappresenta ancora con lo spadino legato, perché esso è un simbolo di regalità. Anche qui, a livello simbolico, questa è una immagine che a me pare molto bella, perché ci fa dire che non ha importanza quanto ci siamo persi, quanto siamo caduti in basso nelle nostre esperienze, ma qui il figlio torna dal padre con quello spadino, cioè da chi lo ha creato, quindi l’idea che la nostra regalità è quella di creature di Dio; noi l’abbiamo e non dobbiamo dimenticarcelo. Se siamo disposti a inginocchiarci, se siamo disposti a chiedere il perdono, come questo figlio sta chiedendo, avremo un abbraccio.

Qui Rembrandt ci vuole suggerire proprio questo: non dobbiamo dimenticare di essere creature di Dio, quindi la regalità che questo poi rappresenta.

Questo figlio è poi illuminato da una luce centrale, che va a illuminare le figure in primo piano, va ad illuminare il gruppo padre e figlio e va ad illuminare anche il figlio maggiore.

Il figlio maggiore che se ne sta lì in disparte, va a chiudere la composizione e la linea di costruzione di questo figlio è quella verticale che coincide con l’estremità del dipinto. Chiude la composizione e sembra quasi un po’ scultoreo nella sua rigidità, è addirittura appoggiato ad un bastone, guarda rispetto agli altri due dall’alto, non c’è questo chinarsi che ha il padre, come se guardasse dall’alto in basso, come se ci fosse anche nel suo sguardo il giudizio. E ha queste mani chiuse sul grembo che danno proprio l’idea di non voler partecipare a questo momento di perdono, di voler rimanere chiuso nelle proprie posizioni, giudicando, cosa che non vediamo minimamente nello sguardo del padre. I due sguardi sono notevolmente diversi, quasi contrapposti in un certo senso.

Anche lui, però, ha degli elementi che lo accomunano in realtà al padre: il rosso del mantello, la luce che colpisce tutte e due, e la luce è simbolo di Dio. Questa luce arriva, colpisce il figlio che ritorna cosi come il figlio che è rimasto a voler forse dire che l’amore di Dio è un amore che non conosce le differenze che riguardano più le dinamiche umane, non conosce l’incapacità del perdono, così come non conosce la rigidità di chi questo perdono non riesce a capirlo. Perché per il fratello maggiore è veramente un po’ sconvolgente pensare che questo padre, a cui ha dato sempre tutto, a cui è sempre stato vicino, perdona invece quello che gli ha voltato le spalle, difficile capire. Rembrandt sembra voler dire con questa chiusura, con questa rigidità del personaggio anche proprio la difficoltà di comprendere qualcosa di così sconvolgente. Il figlio maggiore non comprende questo abbraccio.

Abbraccio che vediamo in queste mani che avvolgono le spalle del giovane e che sono forse la questione più famosa, più particolare di questo dipinto, perché si vede benissimo che sono due mani diverse, e anche qui certamente non possiamo imputare questa scelta a incapacità del pittore. Volutamente egli ha fatto questa scelta e questo lo si capisce benissimo dall’uso del chiaroscuro. Nella mano sinistra del padre, il rapporto luce ombra è molto più intenso rispetto a quello dell’altra mano. Si vede anche che questa è una mano più larga rispetto all’altra più affusolata. Il chiaroscuro qui indica una pressione, è una mano che sta premendo contro la spalla, è la mano che sorregge, è una mano forte, è la mano di un uomo.

Viceversa nell’altra mano il chiaroscuro è molto più attenuato ed è una mano molto più affusolata, è la mano di una donna.

A voler dire che nell’abbraccio di Dio c’è tutto questo amore, c’è l’amore tipicamente maschile e che sorregge, nell’immagine più tradizionale rappresenta il padre, e di chi invece accarezza, tipica della madre che accoglie con delicatezza.

Infine è un amore che è unificato dalla luce, che nella pittura fiamminga è sempre molto avvolgente, ma qui è proprio particolarmente avvolgente sulle tre figure, proprio come a dire che questa attesa, questa conversione non riguarda solo una persona, ma si auspica che possa riguardare tutti, ognuno con le proprie differenze, ma la luce di Dio arriva come nel quadro su tutte le figure.

ACTIO

L’impegno di questa settimana potrebbe essere quello di aprire il proprio cuore alla conversione, prepararlo all’incontro con Gesù e vivere questo tempo di Avvento, il cuore e la nostra vita.